sabato 25 maggio 2013

19_(non) le faremo sapere

No. Non stiamo parlando di civvì sparpagliati a destra e a manca manco fossero coriandoli a carnevale. E neanche di candidature inviate via mail, macchè.
Il non essere cagata e il non avere alcun tipo di riscontro in queste due situazioni è routine. Una certezza, più che altro.
Ma quando finisce che a un colloquio ci vai, e incontri una persona (presumibilmente una professionista, una persona seria che dovrebbe avere una certa credibilità in quello che fa e, di conseguenza, dovrebbe dimostrarsi professionale anche in questa situazione)...oh figa, i miei sproloqui tra parentesi! Scusate! Dicevo: se io ad un colloquio ci vado, ti vedo di persona, mi sviolini la tua attività e mi dici che mi farai sapere (A BREVE)...cioè...non so voi, ma io mi aspetto che tu mi faccia sapre, e anche a breve, cazzo. No?!?
Ovviamente no.
Ricordo questo posto, un ufficio stampa che avevo spammato con il mio cv, insieme ad altre decine e decine di uffici stampa. Però, quello, incredibilmente, e -solamente quello-, mi aveva pure risposto.
La tipa mi telefona, ha fretta di incontrarmi.
Figata, penso.
"Babba!!!", mi urlerei adesso.

Il giorno del colloquio esco prima dallo stage, mi fiondo in metro e riemergo in zona Repubblica, fermata credo mai bazzicata prima di allora con conseguente senso di spaesamento e la certezza che, immancabilmente, ogni tizio a cui chiedi un'informazione sarà in grado di depistarti e rendere la ricerca del posto praticamente impossibile.
Ma, grazie al mio costante anticipo-da-ansia e le falcate da amazzone dovute alla storia da pendolare sulla Milano-Mortara, all'ora X supero la soglia dello studio sfoggiando uno smagliante sorriso-da-colloquio.
Erano le 17. No, perchè dopo capirete...
Vengo rinchiusa in uno stanzino spoglio, pareti bianche, asettico, tavolone nero e, così vuoto che, quando parlavi, potevi sentir rimbombare la tua stessa voce.
"Ci siamo trasferiti da poco, qui non abbiamo ancora avuto modo di sistemare..."
A me ora vien da ridere.
A voi non ho ancora raccontato tutto, ma una delle più terribili esperienze lavorative che io abbia mai sperimentato è stata proprio in un posto dove la prima frase è stata esattamente questa: "Ci siamo appena trasferiti. Ora sistemeremo." Non avevo capito che, a settembre, quando avrei poi iniziato, avrei ritrovato tutto ancora ribaltato perchè ero IO quella che avrebbe dovuto sistemare tutto.
Ma vabbè. Vi lascio con questo teaser e ritorno al colloquio nell'ufficio stampa.

La tizia sembra entusiasta del mio curriculum, si, le piaceva proprio che, dopo una laurea in beni culturali avessi voluto fare anche un corso di grafica, bene, denotava il mio non prendermi troppo sul serio.
Uhm.
O che non trovassi un cazzo di lavoro, but whatever.
Dai, penso, forse questa è quella giusta, magari ha davvero capito come sono, la incuriosisco, mi darà uno straccio di opportunità!
Si trattava di ufficio stampa per il mondo dell'arte. Mi interessava. Il primo approccio era sato positivo. Edddaiiicazzzo!

Ma ben presto, quella che era sembrata una piacevole chiacchierata, si trasforma in un terzo grado: tra domande palesemente trabocchetto, psicologia inversa, l'arrivo del "braccio destro" che mi squadrava da capo a piedi e non smetteva di annuire...vi giuro, credo che parte del colloquio sia stata poi rimossa dal mio cervello che non ce la poteva più fare, tant'è vero che ricordo benissimo di aver pensato, ormai esanime, che cazzo ci facessi ancora lì.
La posizione era prestigiosa, avrei dovuto iniziare a tenere i contatti con i giornalisti stranieri, e poi, c'era fretta, che di lì a due settimane avrebbero dovuto partecipare ad una grossa fiera d'arte.
Insomma, sarei stata immediatamente disponibile?
SI! (Cioè, forse non ho risposto con tutto questo entusiasmo, ma solo perchè ero ormai in fin di vita)
Me la sentivo di mettermi in gioco?
SI!
E di partire per la fiera dove non avrei dormito più di tre ore a notte, che si sa, le serate, le cene, che sono l-a-v-o-r-o eh, mica divertimento...?
SII!
Allora in brevissimo tempo le facciamo sapere! Brevissimo eh! Occhèèèi???
SIIII!!!

Le hai più sentite???
NOOOOOO!!!!!!!!!!

Ahahahahhah, no, davvero, è così!
Dopo essere uscita da lì alle 19.45, diciannoveequarantacinqueminuti, sono tornata a casa e, mentre sognavo come sarebbe stato figo essere a quella fiera, quasi certa di aver fatto una buonissima impressione e pensando a come salutare i tizi dello stage, parallelamente, in zona Repubblica, le due tizie stavano dando fuoco al mio cv.

E' tutto molto triste, ma è tutto molto vero.


giovedì 16 maggio 2013

18_da grande: apologia del premestruo

Premestruo, giornate che manco a novembre e assenza prolungata del coinquilino che mi supervisioni possono trasformarsi in un cocktail letale per la mia sanità mentale.
E, come sempre, queste tre cose accadono tutte contemporaneamente.
Beh, avevate qualche dubbio a riguardo??
So che dovrei semplicemente mettere il mio cervello in stand-by per i fatidici 5 giorni che precedono ciò che mi denota in quanto signorina, per poi risvegliarmi a mente lucida e fresca come una rosa...ci provo tutte le volte che mi prende questo merdone cosmico, ma, vi assicuro, non c'è rimedio.
Ovviamente il mio merdone cosmico non ha nulla a che fare con crisi isteriche sull'incapacità di trovare un outfit che mi valorizzi (perchè non possiedo nè outfit che mi valorizzino, nè, tantomeno, occasioni mondane in cui sfoggiarli - per i lettori meno "sul pezzo" rimando al post 15_dell'essere precaria: lo shopping). Macchè! Maaagaaari!
Magari entrassi in crisi guardandomi allo specchio e ammettendo che, ragazza mia, senza palestra sarà dura la prova costume. Ma vààà!
Il mio merdone cosmico scandaglia nel profondo del mio subconscio per far emergere le domande più criptiche che l'uomo si pone da tempi immemorabili, tipo: ma perchè sono qui? cosa sto facendo della mia vita? e, poi, LEI. La più inquietante:
ma tu, Marta...cosa vuoi fare da GRANDE?

Gelo.
Balle di fieno.

Il momento in cui realizzi che non hai la risposta pronta ti senti spiazzata. Tutte le volte.
Perchè tu hai fatto prima, all'università, quello che volevi fare, poi hai fatto quello che le circostanze ti hanno più o meno imposto di fare.
Essere flessibili.
Accontentarsi del piano B, essere già felici di avercelo, quel cazzo di piano B, e, quando va a puttane anche il piano B, ci diamo una bella pacca sulle spalle, e ci diciamo che ora, col piano C, qualcosa riusciremo a risitemare.
Così ho fatto io. Per anni.
E mi sono accorta di non ricordare quasi più quello che era il mio piano A.

Ho sempre guardato con invidia chi aveva ben presente quello che avrebbe voluto fare nella vita, a me quella sicurezza di fondo mancava, perchè io sono così, un pò ingenua, un pò bonacciona, col fatto che sono una di ampie vedute, qualcosa l'avrei pure trovato prima o poi, no?
Quello che conta per me è l'ambiente. Questo è di certo un punto fermo.
Ho sempre sognato un posto in cui potessi essere in contatto con tanta gente.
Ho sempre avuto lavori dove sono stata per lo più sola.
Ho sempre pensato che la mia flessibilità e il mio spirito di adattamento mi avrebbero ripagata, d'altro canto, non  ci hanno fatto una testa tanta con questa stramaledettissima flessibilità?!?!?
Ero convinta che questo mio non incaponirmi su una cosa sola sarebbe stato il mio punto vincente, perchè nessuna porta fosse chiusa a priori.
E invece mi sa che mi sono lasciata bellamente fottere.
Perchè in questo marasma io, che ho quasi trent'anni, non so dire che cosa voglio fare da grande.
Brava come sono stata a reinventarmi sempre, per poter avere qualcosa, alla fine non ho mai stretto niente.

E il tempo passa, l'ansia cresce anche se so che, tra una settimana, tutto mi sembrerà meno grave di come lo è ora.

Nel frattempo, però, meglio rivedere le mie coordinate.


lunedì 6 maggio 2013

17_colloquio bagnato...giramento di balle assicurato.









Maggio 2011.

Quando leggo la mail di conferma non sto nella pelle.
Ormai erano mesi e mesi che, pur con la costante dedizione giornaliera alla ricerca, come dire...non mi si cagava nessuno, ma proprio nessuno.
In più, a lavoro (si, perchè io, a quel tempo, lavoravo...) tirava una brutta aria. Anche se, per la verità, io non è che sentissi tutto 'sto spifferamento, chiusa com'ero nel mio buio stanzino otto ore al dì, che poi son diventate quattro, ma che ve lo dicoaffà, che tanto potete immaginare com'è andata a finire, per cui...ecco.

Ma veniamo al succo: stage nell'area formazione in multinazionale tedesca in forte espansione, l'unica, tra l'altro, a sembrar essere in controtendenza a crisi ormai dilagante, e a sbeffeggiare la volontà di un piano di 15.000 assunzioni solo in Italia.
Sboroni a manetta! Eppure, questi erano i toni dei comunicati stampa che, da brava candidata, mi sono ciucciata prima del gran giorno.

Il colloquio in università sembra essere andato bene tant'è che, di lì ad un paio di giorni, mi viene confermato il colloquio in sede.

Bene. Per chi si lamenta che il tempo, questo maggio, sta facendo cagare, dedico l'avventura che segue.

Il colloquio era stato fissato per le 11 e io, vivendo e lavorando a Vigevano,
avevo calcolato che in una mattinata me la sarei dovuta egregiamente cavare.
Non ricordo che dissi alla mia capa, fatto sta che promisi di rientrare in ufficio per le 2.

Quella mattina diluviava.
Panico.
E solo chi fa il pendolare sulla Milano-Mortara può capire che cosa questo panico sia: terrore vero, la quasi certezza che qualcosa (andando, tornando o -nel mezzo) accadrà, e tu non arriverai mai dove dovevi arrivare, se non con quel paio d'ore di ritardo.
Inspiro zen e salgo sul treno. Almeno c'è, che non è cosa da poco.
Ovviamente sono giacchettata e ballerinata. Fingo indifferenza quando mi chiedo che aspetto potranno avere quei capelli arrivata a destinazione, tra l'acqua prima e l'umidità poi, sul treno.
Che babba.
Il peggio doveva ancora venire.

Ai tempi, non essendo esperta della mobilità milanese di superficie, avevo dato per scontato che quel chilometro e mezzo, che separava la metro dalla mia destinazione, dovesse necessariamente venir fatto a piotti e viandare. Dai Martaaaa! Tanto arrivi in stra anticipo, c'hai il fisico, ti fai una bella passeggiata nella (deserta) zona fiera, e basta! Echessarammmai!
Fiiiiiiiga!
Ho rischiato di affogare, ho sospettato che non ce l'avrei mai fatta e che, comunque, sarei stata troppo imbarazzata a presentarmi fradicia come mi ero ridotta.
Ansimante raggiungo l'incrocio dove riconosco, fi-nal-men-te, il nome della via che cercavo.
Un bar è proprio lì, che mi sta aspettando. Entro e, nel dubbio, faccio il grave errore per poter usufruire della toilette e darmi una sistemata: IL CAFFE'. Male male.
Caffè + ansia + affanno + feddo boia da diluvio universale =.... no. Non quello che pensate, grazie al cielo, ma di certo ci sono andata moooolto vicina.

Eccomi davanti all'entrata.
Da buona multinazionale sfoggia all'ingresso due receptionist in divisa con foularino rosso da hostess infiocchettato su un lato che ti fissano indispettite.

Le receptionist non sono mai felici di essere lì e di fare quel lavoro.
E vogliono che tu ti senta a disagio. Io lo so, cazzo.
E con me ce la fanno. Sempre.

Prendo posto nel solito poltroncino scomodo, e parte, come fosse il flashback da un film visto mille volte, il solito momento-merdone di cui vi ho già parlato: solita scomodità di seduta, nulla da leggere, sguardi nel vuoto, sguardi fuori ma tanto coi vetri oscurati fuori non si vede una beata minchia e sorrisi solerti ad ogni apertura di porta d'ascensore.
Ma in più, 'sta volta, a volermi proprio provare, lei: l'aria condizionata a manetta!
Io ero fradicia, temevo che le mie ballerine del mercato non reggessero e mi si sciogliessero sotto i piedi e si, ormai ne ero certa, era una congiura cosmica: volevano che mi cagassi addosso!!!

Resisto stoica, e poi, finalmente, vedo arrivare la selezionatrice che avevo conosciuto al primo colloquio che mi scorta, dopo vari giri e rigiri lungo stretti corridoi dalle porte tutte uguali (e tutte chiuse), in una stanza riunioni.
Mi fa sedere e mi mette in mano un sacco di fogli di carta.
"E' il test d'inglese!"
Macccheccazzzz?!?!?!
"Mhsì, è un pò lungo, siediti pure, io ti lascio qui sola e quando hai finito chiama da quel telefono questo numero, che torno a prenderti".

Nella mia mente bestemmioni, da far impallidire i tuoni fuori, o sopra (?), che infatti, dove cazzo ero finita lo sapeva solo quella!
La mia frustrazione non stava tanto nell'interminabile test d'inglese, quanto nel timore che non riuscissi a tornare a casa -e a lavoro- in tempo.

Finalmente il dannato test l'avevo finito. Daicazzo che è tardi!!!
Compongo il numero.
Occupato.
Di nuovo.
Occupato.
Non ricordo quante volte ho dovuto riprovare prima di farmi venire a raccattare nei sotterranei.
Ma alla fine ce l'avevo fatta.
Risaliamo.

"Ecco si, vieni che ora ti accompagno per un colloquio con la responsabile qui sopra".

No, ma vabbè. Ma stai scherzando?!?
Non stava scherzando.

Del colloquio sopra non ricordo molto, se non la faccia schifata della tipa con cui ho parlato, che, mentre mi faceva le domande, smanettava a computer cazzi suoi, che, poverina, doveva finire quel lavoro, sai com'è.

Se fosse andato bene questo secondo step ci sarebbe stato di certo un altro colloquio col capo e poi, forse, anche un altro con un capo di capo.

Mi congedo e mi appresto a fare una maratona per prendere -di stra culo- l'ultimo treno ultile per riapparire fresca come una rosa in ufficio.

Un mese dopo, la rimbalzmail:


Maddai?!?!?

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