lunedì 6 maggio 2013

17_colloquio bagnato...giramento di balle assicurato.









Maggio 2011.

Quando leggo la mail di conferma non sto nella pelle.
Ormai erano mesi e mesi che, pur con la costante dedizione giornaliera alla ricerca, come dire...non mi si cagava nessuno, ma proprio nessuno.
In più, a lavoro (si, perchè io, a quel tempo, lavoravo...) tirava una brutta aria. Anche se, per la verità, io non è che sentissi tutto 'sto spifferamento, chiusa com'ero nel mio buio stanzino otto ore al dì, che poi son diventate quattro, ma che ve lo dicoaffà, che tanto potete immaginare com'è andata a finire, per cui...ecco.

Ma veniamo al succo: stage nell'area formazione in multinazionale tedesca in forte espansione, l'unica, tra l'altro, a sembrar essere in controtendenza a crisi ormai dilagante, e a sbeffeggiare la volontà di un piano di 15.000 assunzioni solo in Italia.
Sboroni a manetta! Eppure, questi erano i toni dei comunicati stampa che, da brava candidata, mi sono ciucciata prima del gran giorno.

Il colloquio in università sembra essere andato bene tant'è che, di lì ad un paio di giorni, mi viene confermato il colloquio in sede.

Bene. Per chi si lamenta che il tempo, questo maggio, sta facendo cagare, dedico l'avventura che segue.

Il colloquio era stato fissato per le 11 e io, vivendo e lavorando a Vigevano,
avevo calcolato che in una mattinata me la sarei dovuta egregiamente cavare.
Non ricordo che dissi alla mia capa, fatto sta che promisi di rientrare in ufficio per le 2.

Quella mattina diluviava.
Panico.
E solo chi fa il pendolare sulla Milano-Mortara può capire che cosa questo panico sia: terrore vero, la quasi certezza che qualcosa (andando, tornando o -nel mezzo) accadrà, e tu non arriverai mai dove dovevi arrivare, se non con quel paio d'ore di ritardo.
Inspiro zen e salgo sul treno. Almeno c'è, che non è cosa da poco.
Ovviamente sono giacchettata e ballerinata. Fingo indifferenza quando mi chiedo che aspetto potranno avere quei capelli arrivata a destinazione, tra l'acqua prima e l'umidità poi, sul treno.
Che babba.
Il peggio doveva ancora venire.

Ai tempi, non essendo esperta della mobilità milanese di superficie, avevo dato per scontato che quel chilometro e mezzo, che separava la metro dalla mia destinazione, dovesse necessariamente venir fatto a piotti e viandare. Dai Martaaaa! Tanto arrivi in stra anticipo, c'hai il fisico, ti fai una bella passeggiata nella (deserta) zona fiera, e basta! Echessarammmai!
Fiiiiiiiga!
Ho rischiato di affogare, ho sospettato che non ce l'avrei mai fatta e che, comunque, sarei stata troppo imbarazzata a presentarmi fradicia come mi ero ridotta.
Ansimante raggiungo l'incrocio dove riconosco, fi-nal-men-te, il nome della via che cercavo.
Un bar è proprio lì, che mi sta aspettando. Entro e, nel dubbio, faccio il grave errore per poter usufruire della toilette e darmi una sistemata: IL CAFFE'. Male male.
Caffè + ansia + affanno + feddo boia da diluvio universale =.... no. Non quello che pensate, grazie al cielo, ma di certo ci sono andata moooolto vicina.

Eccomi davanti all'entrata.
Da buona multinazionale sfoggia all'ingresso due receptionist in divisa con foularino rosso da hostess infiocchettato su un lato che ti fissano indispettite.

Le receptionist non sono mai felici di essere lì e di fare quel lavoro.
E vogliono che tu ti senta a disagio. Io lo so, cazzo.
E con me ce la fanno. Sempre.

Prendo posto nel solito poltroncino scomodo, e parte, come fosse il flashback da un film visto mille volte, il solito momento-merdone di cui vi ho già parlato: solita scomodità di seduta, nulla da leggere, sguardi nel vuoto, sguardi fuori ma tanto coi vetri oscurati fuori non si vede una beata minchia e sorrisi solerti ad ogni apertura di porta d'ascensore.
Ma in più, 'sta volta, a volermi proprio provare, lei: l'aria condizionata a manetta!
Io ero fradicia, temevo che le mie ballerine del mercato non reggessero e mi si sciogliessero sotto i piedi e si, ormai ne ero certa, era una congiura cosmica: volevano che mi cagassi addosso!!!

Resisto stoica, e poi, finalmente, vedo arrivare la selezionatrice che avevo conosciuto al primo colloquio che mi scorta, dopo vari giri e rigiri lungo stretti corridoi dalle porte tutte uguali (e tutte chiuse), in una stanza riunioni.
Mi fa sedere e mi mette in mano un sacco di fogli di carta.
"E' il test d'inglese!"
Macccheccazzzz?!?!?!
"Mhsì, è un pò lungo, siediti pure, io ti lascio qui sola e quando hai finito chiama da quel telefono questo numero, che torno a prenderti".

Nella mia mente bestemmioni, da far impallidire i tuoni fuori, o sopra (?), che infatti, dove cazzo ero finita lo sapeva solo quella!
La mia frustrazione non stava tanto nell'interminabile test d'inglese, quanto nel timore che non riuscissi a tornare a casa -e a lavoro- in tempo.

Finalmente il dannato test l'avevo finito. Daicazzo che è tardi!!!
Compongo il numero.
Occupato.
Di nuovo.
Occupato.
Non ricordo quante volte ho dovuto riprovare prima di farmi venire a raccattare nei sotterranei.
Ma alla fine ce l'avevo fatta.
Risaliamo.

"Ecco si, vieni che ora ti accompagno per un colloquio con la responsabile qui sopra".

No, ma vabbè. Ma stai scherzando?!?
Non stava scherzando.

Del colloquio sopra non ricordo molto, se non la faccia schifata della tipa con cui ho parlato, che, mentre mi faceva le domande, smanettava a computer cazzi suoi, che, poverina, doveva finire quel lavoro, sai com'è.

Se fosse andato bene questo secondo step ci sarebbe stato di certo un altro colloquio col capo e poi, forse, anche un altro con un capo di capo.

Mi congedo e mi appresto a fare una maratona per prendere -di stra culo- l'ultimo treno ultile per riapparire fresca come una rosa in ufficio.

Un mese dopo, la rimbalzmail:


Maddai?!?!?

2 commenti:

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